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ToggleIl danno biologico è un danno di natura non patrimoniale che si riferisce ad una lesione del diritto all’integrità fisica o psichica della persona e deve essere giuridicamente riparato nel caso in cui sia la conseguenza di un comportamento doloso o colposo imputabile ad altri. Un esempio di danni biologici sono le fratture al bacino causate da incidenti stradali o anche le ustioni da incidente stradale.
Nel danno biologico ci sono due componenti, una di natura strettamente psico-fisica, l’altra che influisce sulle attività relazionali del soggetto. Nel calcolare il danno biologico devono essere tenute presenti entrambe le componenti.
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Le fonti normative
Le principali fonti normative a cui la giurisprudenza ha fatto riferimento sono sostanzialmente l’articolo 32 della Costituzione che afferma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” el’articolo 2059 del Codice civile secondo cui “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. La salute è il bene più importante di una persona e, sebbene non possa essere compensata con una misura patrimoniale, è ovvio che si debba procedere al ristoro del danno non patrimoniale come, tra l’altro, afferma l’articolo 1226 del codice civile “Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”.
Il Codice delle Assicurazioni nell’articolo 138, secondo comma, lettera a) dà una definizione precisa del danno biologico che è “una lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Il Codice distingue tra danno biologico permanente e danno biologico temporaneo. Si ha invalidità permanente quando un soggetto subisce una sensibile e stabile riduzione o perdita della salute di cui godeva prima dell’evento dannoso. Tale invalidità viene misurata in punti percentuali e va dall’1% al 100%. L’invalidità temporanea si ha quando la salute del soggetto subisce un peggioramento per un arco di tempo limitato e può essere assoluta o parziale, a seconda se vengano impedite del tutto o in parte le attività quotidiane del danneggiato. L’invalidità temporanea – assoluta o parziale che sia – viene misurata in giorni con indicazione di una percentuale di diminuzione della capacità del soggetto leso.
Certificazione medica obbligatoria
Traducendosi in un danno alla salute, il danno biologico deve essere provato mediante idonea certificazione medica attestante le lesioni riportate. Esso, quindi, non può essere presunto, ma deve essere rigorosamente dimostrato. La perizia o la relazione del medico legale costituiscono la prova per un eventuale giudizio.
Calcolo del risarcimento
Per calcolare il risarcimento del danno biologico si fa riferimento a specifiche tabelle elaborate dalla giurisprudenza sulla base di alcuni parametri di riferimento, quali ad esempio l’entità e il tipo di lesione, i punti di invalidità riconosciuti, i giorni di degenza in ospedale, l’età della vittima.
Il sistema tabellare attribuisce un valore economico a ciascun punto di invalidità, da rapportare all’età del danneggiato, distinguendo tra lesioni di lieve entità e lesioni di non lieve entità.
Le tabelle di Milano
Le tabelle più utilizzate sono quelle elaborate dal tribunale di Milano che da tempo sono considerate il parametro di riferimento nazionale per una liquidazione uniforme del danno biologico. L’orientamento in tal senso si è consolidato grazie alla nota sentenza n. 9556/2016 della Corte di Cassazione. Con tale pronuncia, infatti, la Suprema Corte ha stabilito che, in sede di liquidazione del danno biologico, quando sono carenti i criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa ex art. 1226 c.c. deve necessariamente garantire non solamente una valutazione adeguata delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio dinanzi a casi giudicabili in modo analogo. Per la Corte non è tollerabile che danni identici possano essere oggetto di una diversa liquidazione solo perché esaminati da giudici diversi. Nel maggio 2020 con l’ordinanza n. 8468, interpellata in merito, la Corte di Cassazione ha confermato tale orientamento raccomandando a tutti i giudici italiani di adottare le tabelle elaborate dal tribunale milanese. Il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, e già diffuso su scala nazionale, può contribuire a garantire un’uniformità di trattamento, a patto che il giudice non ritenga sussistere concrete circostanze atte a giustificarne l’abbandono.
Danno biologico da sinistro stradale
Se per il danno biologico da sinistro stradale di non lieve entità, si fa riferimento alle tabelle della giurisprudenza, nel caso di danno biologico di lieve entità derivante da sinistro stradale il calcolo del risarcimento avviene sulla base di parametri previsti direttamente dalla legge, con punti percentuali in funzione dell’età e del grado di invalidità.
Il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e dell’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato. È inoltre funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’Istat, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale. Ciò comporta che, più si è anziani, minore è il risarcimento.
Danno biologico INAIL e infortuni sul lavoro
La tutela del danno biologico è rilevante anche nel contesto dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali fornita dall’INAIL. Questa assicurazione è garantita a tutti coloro che, durante lo svolgimento di un’attività lavorativa, sono esposti a rischi per la propria salute e l’incolumità fisica.
Inizialmente, la tutela assicurativa fornita dall’INAIL copriva i danni che influivano sulla capacità lavorativa e reddituale del lavoratore, ossia i danni di natura patrimoniale. L’eventuale risarcimento dei danni non patrimoniali, invece, era a carico del datore di lavoro nel caso in cui il lavoratore esercitasse il proprio diritto a una tutela completa dei danni subiti, oltre a quelli liquidati dall’assicurazione sul piano civile.
Il decreto legislativo 38/2000 ha ampliato la protezione assicurativa dell’INAIL includendo il danno biologico, limitando così la possibilità di responsabilizzare civilmente il datore di lavoro. Tuttavia, il danno biologico coperto dalla tutela dell’INAIL è quello definito nell’articolo 13 del suddetto decreto, ovvero la“lesioneall’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona“. Pertanto, spetta al lavoratore la possibilità di richiedere il risarcimento del danno complementare o differenziale che non è liquidato dall’INAIL.
L’INAIL fornisce un indennizzo in forma di capitale per il danno biologico derivante da un’inabilità permanente pari o superiore al 6% e fino al 15%. Nel caso di un’invalidità permanente superiore al 16%, invece, come risarcimento viene fornita una rendita annua.
Il danno biologico in caso di morte e risarcimento degli eredi
L’evento del decesso può essere considerato come causa di danno biologico quando intercorre un intervallo di tempo tra le lesioni subite dal danneggiato, che hanno portato alla morte, e il momento effettivo della morte stessa. In questa situazione, il risarcimento del danno biologico viene erogato per coprire l’inabilità temporanea durante il periodo in cui la persona lesa rimane in vita.
Con la sentenza n. 3549 del febbraio 2004 la Corte di Cassazione ha riconosciuto il trasferimento in capo agli eredi del diritto al risarcimento. Nella sentenza si legge che “quando la morte è causata dalle lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) soltanto il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea e per il tempo di permanenza in vita”. Il trasferimento del diritto in capo agli eredi è stato definito dalla Corte iure hereditatis e si ha solo quando la vittima sopravvive per un apprezzabile lasso di tempo. In questo caso la giurisprudenza parla di “danno biologico terminale”.